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Il corretto trattamento igienico-sanitario delle carni di selvaggina
(parte prima)

(pubblicazione edita dall’amministrazione provinciale di Belluno in collaborazione con la facoltà di Veterinaria dell’Università di Padova e con il dipartimento di prevenzione, servizi veterinari dell’ULSS n.1 di Belluno)

La stesura di questo manuale ha lo scopo di far conoscere al cacciatore e a quanti utilizzino la selvaggina come alimento, quali siano le pratiche corrette da eseguire nella gestione della carcassa nei vari stadi della sua lavorazione, per ricavarne carni di elevata qualità igienica ed organolettica.

CHE COS’È LA CARNE

Per carne si intende il muscolo degli animali utilizzato come alimento.

Il muscolo di alcuni animali, come ad esempio i pesci, va preferibilmente consu­mato immediatamente dopo la morte, mentre il muscolo di altri, come ad esempio quello dei grandi mammiferi, va consumato solo dopo aver subito un processo di frollatura (maturazione) della durata di parecchi giorni, senza il quale, il muscolo non può nemmeno definirsi “carne”.

Per carne, quindi, si intende l’insieme di tessuto muscolare e connettivo, grasso, sangue e nervi di un animale abbattuto in buono stato di salute e nutrizione, dopo che abbia subito un’adeguata frollatura a temperature di refrigerazione.

Qualunque sia la specie di appartenenza, le diverse carni (a parità di percentuale in grasso), hanno un valore calorico pressoché equivalente, ma hanno proprietà organolettiche e nutritive peculiari che le rendono ben distinguibili al gusto e le conferiscono un valore biologico differente.

La carne costituisce per l’uomo:

  • un’importantissima fonte di proteine ad alto valore nutrizionale, in quanto for­mate da amminoacidicostituenti elementari delle proteine), tra i quali quelli essenziali, cioè che l’organismo non è in grado di produrre da sé e deve obbliga­toriamente introdurli con gli alimenti;
  • una certa quantità di grassi, diversi per ogni specie animale, sia nella loro compo­sizione che nella loro distribuzione in ogni singolo muscolo e nell’intera carcassa;
  • un’apprezzabile quantità di ferro altamente biodisponibile (contrariamente ai ve­getali, dove il ferro, seppur sensibilmente presente, è legato ai fitati, che ne ridu­cono drasticamente l’assorbimento a livello intestinale);
  • vitamine, in particolare, le più rappresentate sono quelle del complesso B e PP.

Dall’ animale, oltre alla carne, si possono ricavare:

FRATTAGLIE, organi non direttamente connessi alla muscolatura, contenuti nelle varie cavità del corpo quali polmoni, cuore, fegato, rene, milza, encefalo e lingua;

TRIPPA, rappresentata dai prestomaci (rumine, reticolo e omaso) degli animali ruminanti, opportunatamente svuotati, lavati, raschiati dalla mucosa e cotti in acqua bollente per 1-2 ore.

TRIPPINO, stomaco del suino, cinghiale e degli equidi.

ANIMELLE, parti ghiandolari quali pancreas, timo, ghiandole salivari e testicoli.

COMPOSIZIONE CHIMICA DELLA CARNE

Da un punto di vista chimico, le carni hanno una composizione variabile secondo la percentuale in muscolo, grasso e connettivo presenti nel taglio. Le variazioni mag­giori si riscontrano a livello del contenuto in acqua (dal 45 al 76%) la componente maggiormente rappresentata e dei grassi (dall' 1 % al 45%). La particolarità è che all'aumentare dei grassi, diminuisce il contenuto in acqua del taglio e viceversa.

A rimanere pressoché costante è il quantitativo in proteine, che si aggira intorno al 20%, con piccole variazioni in eccesso o in difetto (nelle parti muscolari).

Vediamo in dettaglio quali sono i costituenti della carne in un taglio magro della carcassa di un mammifero adulto (da Lawrie, 1983):

ACQUA

75%

SOSTANZE AZOTATE NON PROTEICHE ESTRATTIVE

1,65%

PROTEINE

19%

SOSTANZE INORGANICHE

0,65%

LIPIDI

2,5%

VITAMINE

Tracce

CARBOIDRATI E LORO DERIVATI

1,2%

Vediamo in dettagli alcune specie animali:

Specie

% Umidità

% Proteine

% Grasso

% Ceneri

Bovino

74,2

20,1

4,5

1,2

Suino

73,6

22,2

2,24

1,07

Cavallo

70,94

19,83

6,78

0,98

Tacchino (senza pelle)

74,8

20,4

3,8

1,0

Pollo (senza pelle)

76,1

19,4

3,6

0,9

Oca (con pelle)

49,1

15,8

34,4

0,7

Camoscio

73,18

21,65

1,8

1,18

Capriolo

74,32

21,25

1,31

1,18

Cervo

74,15

21,47

1,14

1,20

Muflone

73,94

20,74

1,59

1,16

Daino

73,76

22,17

0,85

1,29

Esaminando questi dati possiamo vedere che le carni a minore contenutolipidico sono proprio quelledei mammiferi selvatici; inoltre i lipidi presenti sono di ottima qualità nutrizionale.

IL CACCIATORE E LA QUALITÀ DELLE CARNI:

COME MIGLIORARE LA QUALITÀ DELLE STESSE SIN DAL MOMENTO DELLA CACCIA

Si parla spesso di benessere animale ma occorre rimarcare che le condizioni di benessere dell'animale in vita influenzano enormemente la qualità delle carni dopo la morte.
È comunemente noto che nei mattatoi non vengono abbattuti animali malati e se questo si rende indispensabile (abbattimento per fini sanitari o per evitare sofferen­ze) le carni vengono escluse dall'alimentazione umana.
Anche nel caso di abbattimento di animali perfettamente sani, la metodica dell'ab­battimento ed i tempi di recupero della carcassa, possono essere in grado di peggio­rare la qualità delle carni fino a renderle non commestibili.
I punti chiave da tenere in considerazione sono:

- tecnica di caccia (dalla posta, con segugi);

- tipi di arma e munizione utilizzati (cal. 12 a palla o pallettoni, carabina a canna rigata);

- punto di ferita sul corpo dell'animale;

- tempo di recupero della carcassa;

- modalità di trattamento della carcassa dopo il recupero;

- modalità di trattamento della carcassa fino all'arrivo a casa;

- temperatura ambientale.

Ora prenderemo in considerazione i vari punti, esulando dal concetto di vietato/am­messo di alcune tecniche od armi per abbattere alcuni animali, anche perché così riusciremo a comprendere meglio il motivo di alcuni divieti; non esamineremo tan­to le singole tecniche quanto piuttosto i loro effetti sulla qualità delle carni.

TECNICHE DI CACCIA

Le tecniche di caccia utilizzate per gli ungulati sono essenzialmente due:

- all'aspetto, ove il cacciatore attende la preda per abbatterla;

- con i segugi, ove la preda braccata dai cani viene sospinta verso le poste per essere abbattuta.

Esiste poi la caccia alla cerca ove il cacciatore si sposta sul territorio per appostarsi qua e là nei luoghi che gli sembrano migliori al momento; questa forma di caccia, ai fini della qualità delle carni, deve essere considerata sovrapponibile alla caccia all' aspetto.

La differenza tra i due tipi di caccia consiste essenzialmente nel fatto che:

- nella caccia all'aspetto il cacciatore, ben nascosto, spara ad un animale tranquillo;

- nella caccia con i segugi l'ungulato braccato dai cani viene fatto correre per parecchio tempo ed arriva stressato al punto di abbattimento.

La tranquillità prima della morte è un requisito essenziale per la qualità delle carni infatti, l'animale abbattuto senza stress fisici o psichici porta intatta nei suoi muscoli dopo la morte la riserva energetica di glicogeno, lo zucchero di pronta disponibilità muscolare, che permetterà alle carni di subire un corretto processo di acidificazio­ne, le proteggerà dai batteri e ne permetterà una buona frollatura.
L'animale stressato produce invece carni di bassa qualità, non conservabili né frollabili e dalle caratteristiche organolettiche scadenti soprattutto per quanto riguarda tenerezza e succosità; inoltre le alterazioni muscolari da eccessiva liberazione di acido lattico riportate dopo un inseguimento possono portare a morte un animale sano anche se sfugge alla cattura senza ferite da arma da fuoco o morsi di cane.

TIPO DI ARMA E DI MUNIZIONE

Il tipo di arma e di munizione utilizzato nell' abbattere un animale è in grado di influenzare fortemente la qualità delle carni e la loro conservabilità.
I tipi di armi usate comunemente nell'abbattere gli ungulati sono:

- FUCILI A CANNA LISCIA (generalmente calibro 12);

- FUCILI A CANNA RIGATA (di calibro variabile da 5,6 mm fino agli 8,5 mm).

L'impiego di altri tipi di armi o calibri (armi ad avancarica, calibri maggiori, arco e frecce etc.) è occasionale e non rilevante ai nostri fini.

FUCILI A CANNA LISCIA: sono diffusissimi e di uso comune anche per la sel­vaggina da piuma e quindi ogni cacciatore ne possiede almeno uno che potrà cari­care con una cartuccia in grado di uccidere un ungulato.

Le cartucce utilizzate sono essenzialmente di due tipi:

CARTUCCE CARICATE A PALLA SINGOLA (BRENNEKE, BORRA GUALANDI etc.): utilizzabili legalmente nella caccia al capriolo ed in grado di fornire discrete prestazioni balistiche fino ad 80-1OOm di distanza.

Al momento dell'impatto sull'animale causano un foro di circa 20-22 mm (per il cal. 12) e provocano intensa distruzione dei tessuti molli sottostanti; sarebbero in grado di uccidere qualunque dei nostri ungulati a breve distanza ma, data la loro scarsa direzionabilità, sono utilizzabili legalmente solo per gli ungulati più piccoli perché un cervo adulto potrebbe facilmente esserne ferito ma non fermato se colpito in punti non vitali e morire dopo un certo tempo.
In generale quindi sono munizioni poco sicure in quanto pur causando danni gravissimi agli animali colpiti possono permetterne la fuga e determinare la perdita del capo che, se verrà ritrovato, non fornirà carni di qualità accettabile; inoltre le estese distruzioni muscolari determinate dalla penetrazione di proiettili di questo tipo possono portare a notevoli perdite di parti muscolari pregiate.

CARTUCCE CARICATE A PALLINI-PALLETTONI (munizione spezzata): anche se gli studi al riguardo hanno dimostrato che il miglior pallino di piombo per uccidere un ungulato (colpendolo al cuore) è quello del diametro di 3,5-4mm perché mantiene il miglior rapporto tra capacità di penetrazione e numero di proiettili nella rosata, spesso i cacciatori usano cartucce a 9 o 16 pallettoni che, pur avendo una buona forza di penetrazione sono troppo poco numerosi per irrorare il bersaglio ed abbatterlo istantaneamente alle distanze medie di tiro.
La fucilata mortale a pallettoni è al massimo a 30-35 metri e permette di uccidere all'istante un ungulato se colpito all'area cardiaca. Spesso però gli animali non si trovano in posizione favorevole ed una fucilata in qualsiasi altra parte non uccide quasi mai all'istante l'animale che, ferito, riesce a scappare e se pur ritrovato avrà avuto il tempo di perdere sangue da tutti i piccoli fori presentando delle carni inutilizzabili in quanto estesamente imbibite di sangue (vedi Fig. 1).

Bisogna ricordare che qualunque ferita di arma da fuoco porta all'interno dell'organismo peli e batteri cutanei (effetto trascinamento) per cui un animale che presenta molti piccoli fori con penetrazione profonda delle masse muscolari e copiose emorragie diffuse fornirà una carne che avrà scarse possibilità di conservazione.
Anche un solo foro permetterà ai batteri di iniziare una infezione che in seguito ucciderà l'animale, per cui sono capibili i motivi che hanno portato a vietare la caccia agli ungulati con munizione spezzata.

FUCILI A CANNA RIGATA: sono i veri protagonisti della caccia agli ungulati. Utilizzati da sempre per la caccia agli ungulati, tramite la trasformazione di fucili da guerra in armi da caccia, sono con il tempo diventati sempre più sofisticati e precisi; con l'aggiunta di meccanismi di alleggerimento dello scatto e meccanismi di puntamento ottici, sono diventati delle armi che presentano una facilità addirittura eccessiva nel colpire il bersaglio alla distanza corretta per la quale il sistema (arma + meccanismo di puntamento) è stato preparato.
Il problema gravissimo che si sta verificando sempre di più in questi anni è quello dell'utilizzo improprio di un'arma da caccia; se un'arma è utilizzabile con buona possibilità di riuscita (di colpire il bersaglio) a 250 m viene comunemente usata anche a 400 o 500 metri con risultati deludenti che spesso hanno più la caratteristica di una prova (a spese dell'animale) che di un colpo da tiratore.
Il passo successivo del cacciatore che non riesce a colpire un bersaglio a 400 metri con un' arma tarata per 250 metri sarà di acquistare un' arma più potente, dotarla di ottica migliore e prepararla per il tiro a 500 metri, arma che poi verrà usata regolarmente per tiri deludenti a 1000 metri.
È necessario capire che per essere buoni cacciatori bisogna cercare, per motivi di utilizzo delle carni, di sparare ad una preda nella quasi assoluta certezza di abbatterla. Bisogna ricordare che un animale ferito quasi sempre viene a morte per infezione od inedia, per cui è comunque un animale perso per tutti.
Si tende infatti a dimenticare che un proiettile di piccolo calibro ben diretto uccide meglio di uno molto più potente in un punto non mortale e senza provocare gli estesi inquinamenti delle carni dovuti a perdita di liquido ruminale od addirittura a distruzione estesa di interi gruppi muscolari.
Si dovrà quindi dare la preferenza a calibri più ridotti ed a tiri più ravvicinati alla preda, nonché ad un regolare allenamento al tiro con la propria arma per avere un maggiore successo negli abbattimenti ed una migliore qualità delle carni. La tendenza opposta, cioè l'aumento dei calibri, della lunghezza del tiro si è dimostrato, al contrario, controproducente (almeno per il momento).

PUNTO DI FERITA SUL CORPO DELL' ANIMALE

È opinione di molti che l'animale una volta colpito muoia istantaneamente, come succede ai cattivi nei film, ma purtroppo spesso non è così e l'animale colpito si rialza per una fuga precipitosa lasciando il suo feritore con un pugno di mosche e mettendo in evidenza la scarsa precisione del tiro.
Come sopra ricordato è di gran lunga più importante sparare bene, cioè colpire nel punto voluto piuttosto che colpire con estrema violenza; sono infatti noti a tutti i cacciatori gli esempi di animali colpiti all'addome in modo grave che hanno dovuto essere inseguiti per lunghe distanze, con cani addestrati, prima di essere ritrovati (Figg. 2 - 3).


Sulle condizioni di morte di un animale si raccontano molte inesattezze e si parla spesso di animali scappati per centinaia di metri con il cuore attraversato da un proiettile; questo può anche essere vero ma se esaminiamo quel cuore ci rendiamo conto che la ferita del miocardio non è mai tanto grave da determinare un crollo della pressione vascolare od uno shock grave.

Una ferita da arma da fuoco per un animale è sempre mortale, fanno qualche eccezione le ferite agli arti e quelle di striscio, quella che varia è la velocità della morte.

Considereremo:

- Ferite immediatamente mortali

- Ferite che danno morte posticipata nel tempo

- Ferite non mortali

Le ferite immediatamente mortali sono quelle che interessano il sistema cardiocircolatorio e determinano un crollo della pressione arteriosa (quando crolla la pressione sanguigna al cervello c'è lo svenimento immediato) o quelle al sistema nervoso centrale (cranio e colonna vertebrale cervicale) che determinano un forte shock neurogeno.
Le ferite al cuore sono quelle maggiormente ricercate dai cacciatori che però, mirando dietro il gomito, tendono ad effettuare dei tiri generalmente bassi che interessano la punta del cuore, mentre la base del cuore, ricca di grossi vasi sanguigni è un bersaglio che, se colpito causa un crollo dell'animale entro pochi metri; il colpo laterale dietro la spalla è quindi uno dei più utili.
Le ferite che interessano il sistema nervoso centrale sono di certo le migliori in quanto provocano il crollo dell'animale sul posto e permettono il minore grado di lesione delle carni; sono tiri solo per pochi esperti tiratori ma a differenza di quanto si dice, cioè che siano solo colpi di fortuna, sono invece il frutto di allenamenti intensi e di conoscenza dell' arma e delle proprie possibilità di tiratore.
Le ferite che danno morte posticipata nel tempo (da alcuni minuti ad ore o giorni) sono tutte quelle ove il proiettile colpisce il tronco dell' animale e ferisce uno o più organi interni.
La morte in questi casi può avvenire per emorragia (più o meno rapida a seconda dei vasi sanguigni colpiti), per peritonite nel caso di ferita dell'addome o per pneumatorace in caso di ferita penetrante del torace; in tutti questi casi l'animale ha il tempo e la forza di rialzarsi e fuggire per poi morire in altro luogo e le carni poi recuperate saranno di cattiva qualità.
Le ferite non mortali sono poche, generalmente quelle agli arti, che però possono trasformarsi in mortali per infezioni o gravi difficoltà di deambulazione; anche le ferite alla mandibola non sono mortali di per sé ma condannano l'animale ad una lenta morte per sete e fame.
Se cerchiamo l'animale fuggito e poi lo ritroviamo morto dopo ore od addirittura il giorno successivo, anche con temperature sottozero, avremo un forte degrado delle carni dovuto alla permanenza in addome dei visceri contenenti batteri, che contamineranno le carni rendendole scarsamente conservabili e rendendo necessarie estese toelettature della carcassa per le parti soggette ad inverdimento.
Bisogna ricordare che le ferite che interessano l'addome portano a perforazione del rumine o dei visceri per cui avremo il massimo grado di inquinamento della carcas­sa con grave perdita della qualità delle carni. Le ferite del torace invece inquinano molto meno, ma in caso di lesione dell'esofago (ferita alta al torace) il liquido ru­minale uscirà ed inquinerà egualmente le carni.

TEMPO DI RECUPERO DELLA CARCASSA

La carcassa dell'animale dovrebbe essere recuperata subito dopo lo sparo, per questo è importante scegliere anche il punto ove un animale deve essere abbattuto; sparare ad un animale da un versante all'altro di una valle dove occorre un'ora di cammino per recarsi sulla carcassa è una cosa sbagliata perché nel migliore dei casi avremo delle carni di qualità non eccellente e nel peggiore inizieremo le ricerche del capo ferito con grande ritardo.
È importante controllare visivamente l'animale dopo lo sparo e, nel dubbio, colpirlo nuovamente anche se a terra, magari con più calma; al fine del controllo dell'effetto della fucilata sull'animale sarebbe molto utile essere sempre in due a caccia; chi spara perderà facilmente la visione dell'animale per colpa del rinculo dell'arma ma il compagno di caccia potrà osservare tutto con il binocolo.
Non appena si reputa di poter avvicinare l'animale ci si reca sul posto, con il fucile carico, pronti a finirlo; non sono pochi i cacciatori che hanno perso carne e trofeo di uno splendido capo per risparmiare una cartuccia.
Per quanto riguarda le carni avremo una qualità tanto migliore quanto più presto ci recheremo sulla carcassa per effettuare le necessarie operazioni che seguono l'abbattimento (dissanguamento, eviscerazione, raffreddamento), infatti tanto più tempo passerà dopo l'abbattimento tanto più vantaggio daremo ai batteri per iniziare la degradazione delle carni; questo è tanto più vero quanto più sarà grande il livello di inquinamento della carcassa dovuto per esempio a perforazione delle interiora con la fucilata.

TRATTAMENTO DELLA CARCASSA DOPO IL RECUPERO

La carcassa deve essere raggiunta immediatamente dopo lo sparo per i motivi suddetti e devono essere eseguite le operazioni di dissanguamento, eviscerazione e raffreddamento.

DISSANGUAMENTO

Il dissanguamento è la pratica basilare per avere delle carni ben conservabili, infatti la permanenza del sangue nei vasi favorirà la diffusione di batteri all'interno delle masse muscolari che potranno utilizzare la parte liquida (siero) del sangue coagulato come una vera autostrada e come nutrimento per la loro moltiplicazione.
Per effettuare il dissanguamento è necessario recidere i grossi vasi del collo; se l'animale è appeso per le gambe posteriori effettueremo l'operazione a livello della gola altrimenti si preferisce operare alla base del collo, infilando la lama all'interno dell' entrata del torace per colpire i vasi alla base del cuore.
Il dissanguamento sarà buono se ci troviamo nella condizione di un animale appena abbattuto, con il cuore ancora pulsante che quindi pomperà attivamente il sangue all'esterno, come per gli animali al mattatoio che, dopo essere stati storditi con un colpo al cervello, cadono a terra esanimi ma il cuore pulsa ancora qualche minuto, il tempo necessario per essere dissanguati.

Nel caso di un animale dove il cuore è già fermo avremo comunque un effetto di svuotamento dei vasi sanguigni che sarà positivo sulla qualità delle carni; l'importante è arrivare subito sulla carcassa, prima che il sangue coaguli nei vasi perché altrimenti i coaguli farebbero fatica ad uscire. In questa evenienza si deve sempre praticare l'incisione alla base del collo per recidere vasi di calibro superiore (Fig. 4).
Le carni di selvaggina sono in genere sempre poco dissanguate ma questo non deve essere considerato come una loro peculiarità quanto piuttosto come un difetto, comunemente accettato ma facilmente correggibile (almeno in parte) con poca fatica. Le carni mal dissanguate sono difficilmente conservabili e oltremodo inadatte per la preparazione dei salumi, a causa della cattiva (insufficiente) acidificazione della carcassa, dovuta all'effetto tampone del sangue presente in eccesso nei muscoli.

EVISCERAZIONE

Appena praticato il dissanguamento si passa alla eviscerazione della carcassa; l'asportazione degli intestini deve essere fatta con grande cura per evitare contami­nazioni delle carni da parte del contenuto dei visceri.
Si chiama contaminazione della carcassa il fatto che microrganismi (batteri) di varia origine vadano a "sporcare" delle carni pulite e pressoché sterili; il muscolo di un animale sano e macellato (od abbattuto) con oculatezza non dovrebbe avere carica microbica.
In caso di ferite che interessano l'addome e forano l'intestino o di pratiche di eviscerazione maldestramente eseguite che permettono la fuoriuscita del contenuto intestinale o ruminale, i batteri presenti nei suddetti liquidi invadono le masse muscolari e cominciano a replicarsi tumultuosamente nutrendosi dei tessuti ed inizian­do il fenomeno della putrefazione.
Le carni possono essere lavate ma comunque permane parte della carica batterica per cui la carcassa non è adatta ad essere conservata in cella per la frollatura, a produrre insaccati o semplicemente al congelamento.
La classica eviscerazione che viene effettuata nei mattatoi di ruminanti prevede l'appendimento del capo per le zampe posteriori e l'incisione della linea mediana dell'addome partendo dalla zona del pube, la rimozione del contenuto dell'addome (intestino e ghiandole annesse, apparecchio urogenitale ad eccezione dei reni) e successivamente l'apertura del torace con la rimozione della corata.
In questo caso la prima porzione del tubo digerente, cioè l' esofago, viene ad essere separata dal rumine a livello del diaframma e successivamente rimossa insieme agli organi toracici; il contenuto dell' esofago cade a terra poiché l'animale è appeso ed un minimo inquinamento potrà avvenire nel momento della separazione tra esofago e rumine per perdita di liquidi da quest'ultimo.
Negli animali abbattuti a caccia si presenta una problematica diversa, dobbiamo infatti considerare che dovendo eviscerare un animale in una zona all'aperto potremmo trovarci in difficoltà a reperire un punto idoneo ad appendere la carcassa o semplicemente a spostare un animale pesante (ad esempio un cervo adulto) fino al punto idoneo per potedo appendere; non ultimi da considerare sono gli effetti deUo spostamento su di una carcassa non eviscerata.

In particolare dobbiamo considerare due casi:

- animali con lacerazione del tubo digerente;

- animali senza lacerazione del tubo digerente.

La lacerazione del tubo digerente deve essere tenuta presente nel caso di qualsiasi colpo all'addome ma bisogna ricordare che anche un colpo al torace può lacerare l'esofago e, con la morte il liquido ruminale può passare in quantità anche notevole nel torace, inquinandolo.
Esaminando le ferite da arma da fuoco di un animale è spesso possibile osservare, soprattutto sul foro di uscita, dei frustoli di contenuto intestinale che ci dimostrano la avvenuta lacerazione del tubo digerente.
Gli animali con lacerazioni del tubo digerente presentano già un problema di inquinamento batterico delle carni ma questo non significa che la carcassa non sia tutta od in parte recuperabile; per limitare i danni infatti è utile eviscerare prontamente l'animale senza spostado dal punto del terreno ove è caduto, anzi limitando al massimo gli spostamenti anche solo per aggiustarne la posizione sul terreno, questo per non provocare ulteriori stravasi di liquido dai visceri.

L'eviscerazione, nel caso venga effettuata a terra, è praticabile più facilmente se si lavora in maniera opposta a quella standard con animale appeso: si inizia incidendo la cute dallo spazio intermandibolare (vedi Fig. 5) fino all'ano ed intorno a questo (Fig. 6 e 7); dopo avere pulito (e possibilmente lavato) il coltello si comincia ad approfondire l'incisione nello spazio intermandibolare fino ad arrivare alla bocca e liberare la lingua che verrà reclinata all'esterno (Fig. 8), si procede lungo il collo asportando insieme esofago, trachea e grossi vasi, poi si apre il torace tagliando lo sterno (Fig. 9) ed incidendo l'addome lungo la linea mediana fino al bacino (Fig. 10).

A questo punto si continua con l'asportazione degli organi toracici (cuore e polmoni) e, incidendo il diaframma lungo tutta la sua inserzione, si asporta la corata ancora collegata tramite l'esofago al rumine che, non potendo essere sollevato per il peso verrà reclinato lateralmente e fatto scivolare fuori dall' addome insieme a milza e fegato; si continua con l'asportazione dell' intestino che verrà estratto fino all'ano previa incisione della ossa della sinfisi pubica (Fig. 11 e 12).

È importante controllare che vengano asportati anche la vescica urinaria (che non deve essere rotta) ed il tratto genitale, maschile o femminile che sia.
Una volta completata l'operazione avremo la carcassa perfettamente eviscerata ed a parte tutti i visceri, dalla lingua all'ano, ancora collegati tra loro.
Una volta eviscerato l'animale si deve, se possibile, lavarlo con acqua per eliminare il sangue ed appenderlo per favorirne lo sgocciolamento; queste due operazioni possono non essere agevoli a causa della mancanza di acqua (nel qual caso andrà portata da casa) in certe zone o della mancanza di alberi per appendere la carcassa (nel qual caso si cercherà di sfruttare qualche dislivello del terreno).
Nel lavaggio di una carcassa eviscerata è importante evitare di bagnare il mantello perché i liquidi che bagnano il pelo si caricano di batteri e se poi vengono a contatto con le carni sono in grado di contaminarle in maniera grave; è quindi assolutamente da evitare l'immersione della carcassa in pelo in acqua corrente o stagnante che sia.

Il lavaggio deve essere effettuato con l'utilizzo di un getto d'acqua (Fig. 14), per esempio utilizzando una bottiglia di plastica (meglio non portare vetro che oltre al peso eccessivo presenta rischio di rottura) che schiacciata può generare una certa pressione e deve interessare solo l'interno dell'animale che deve essere appeso (o quasi).
In alternativa al lavaggio si potrà procedere ad asciugare con carta l'eccesso di sangue ed eventuali liquidi ruminali evitando però in quest'ultimo caso di strofinare le parti pulite con carta sporca perché si andrebbero ad inquinare parti ancora sane (Fig. 13).

Un altro errore è quello di lasciare nella carcassa parte dell'intestino retto con all'interno delle feci, che ovviamente inquineranno le carni. Anche una singola palli­na di feci che rotola sulla carne può portare una carica batterica significativa.
È importante eviscerare prontamente un animale cioè nel più breve tempo possibile perché i batteri presenti nell'intestino subito dopo la morte iniziano ad intaccare la parete intestinale cercando di farsi strada per uscire. Dopo poche ore (massimo 6) riescono nel loro intento ed invadono la cavità addominale attaccando le carni e provocando delle caratteristiche alterazioni come le macchie verdi, visibili spesso sui capi di selvaggina; ovviamente in un capo con lacerazione del tubo digerente le alterazioni cominciano dal momento del trauma intestinale e se non si interviene prontamente, come nel caso di capi fuggiti e rinvenuti morti dopo ore, le alterazioni saranno tali da rendere le carni inutilizzabili.

RAFFREDDAMENTO

Gli animali cacciati sono omeotermi, cioè regolano la loro temperatura corporea in maniera da mantenerla costante indipendentemente dalle variazioni esterne ed attorno ai 38-39 gradi centigradi; la temperatura viene mantenuta dal calore prodotto nei processi metabolici e dal movimento muscolare, tali processi si arrestano con la morte. Per raffreddamento della carcassa si intende l'insieme di pratiche necessarie a favorire la diminuzione della temperatura delle carni fino a giungere a valori idonei alla loro conservazione.
Il raffreddamento della carcassa è un' altro passo essenziale per migliorare la qualità delle carni; infatti il calo della temperatura da quella fisiologica a quella di refrigerazione permette il blocco (o meglio il rallentamento) delle attività batteriche e quindi una minore carica batterica nelle carni. La refrigerazione è tanto più importante quanto più le carni sono state inquinate (es. da lacerazioni del tubo digerente) e quindi quanto più alta è la carica batterica di partenza.

Per effettuare il raffreddamento rapidamente è importante aprire tutte le cavità corporee, torace ed addome eventualmente utilizzando qualcosa (un bastoncino) per tenere divaricate le pareti del torace e permettere il passaggio dell' aria (Fig.14).
La temperatura esterna influenza la velocità di raffreddamento e, prendendo in esame dei casi limite avremo:
- temperature esterne basse;
- temperature esterne elevate.
La caccia agli ungulati in zona alpina viene di solito effettuata con temperature esterne basse, da pochi gradi sopra zero a molti gradi sotto lo zero, e pertanto il raffreddamento delle carcasse avviene facilmente in modo naturale.
L'importante è effettuare subito l'eviscerazione e tenere aperte le cavità corporee (torace ed addome), affinché transiti l'aria fresca; bisogna infatti considerare che il rumine rappresenta una grossa massa a temperatura corporea che funzionerà da scaldino all'interno del corpo dell'animale per cui un animale morto e non evisce­rato, anche con temperature esterne molto sotto lo zero, andrà incontro a fenomeni degenerativi batterici.
È altresì essenziale effettuare subito l'apertura del torace perché questo non venga ad ostacolare il raffreddamento essendo una cavità chiusa.
Nel caso di abbattimenti con temperature elevate, ad esempio estive, si pratica comunque l'eviscerazione con apertura completa delle cavità corporee, in quanto la temperatura esterna è comunque inferiore a quella del corpo dell'animale, ma si deve raggiungere quanto prima un punto di refrigerazione artificiale della carcassa, una cantina fredda od una cella frigo per frenare la degradazione delle carni.
L'immersione delle carcasse in acqua di torrente gelata, pur favorendo un immediato raffreddamento, è da sconsigliare per i suddetti problemi di inquinamento delle carni; è invece consigliabile, nei periodi estivi, dotarsi di una reticella antimosche per coprire la carcassa ed evitare la deposizione di uova da parte di questi fastidiosi insetti.
È sempre sbagliato trasportare un animale non ancora raffreddato, come spesso si vede fare, magari infilato ancora caldo e gocciolante in un sacco di nylon per non sporcare lo zaino; in queste condizioni il raffreddamento sarà addirittura ostacolato permettendo ai batteri presenti di replicarsi velocemente, anche avvantaggiati dalle condizioni di umidità presenti all'interno del sacco.
Le carni di un animale abbattuto in periodo caldo e non immediatamente sventrato e raffreddato, o addirittura ritrovato morto dopo ore dall'abbattimento, sono carni potenzialmente pericolose per l'alimentazione umana, di scarso valore alimentare ed utilizzabili solo per preparazioni in grado di mascherarne gusti ed odori tipici della putrefazione e diminuirne la carica batterica (lunga cottura).

(segue)

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